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IL MULINO DEL TROTTO

Incastrato sul fondo della valle del torrente Lanza, al confine con la provincia di Varese e la vicina Cantello, il piccolo borgo del Mulino del Trotto vede le sue origini andare indietro di centinaia di anni, perdendosi nella storia che precede il XVI secolo. Il più antico documento in cui viene citato detto Mulino, seppur ancora non noto con l'attuale nome, è un estimo rurale (valutazione dei beni agricoli) del 1592 che riporta tal Francesco Pusterla di Tradate come proprietario e conduttore della struttura, dotata di 3 mole e "con pertiche 30 arativa parte avignata, pertiche 20 prato grasso di redito" (circa 2 ettari di coltivi in parte adibiti a vigna e circa 1,5 ettari destinati a foraggio). Si torna a parlare del Mulino alla metà del 1600 in due diversi documenti.

Nel 1651, i fratelli Mina scrissero all'allora Magistrato un esposto contro il pagamento di imposte pregresse per l'uso del mulino lamentandone la scarsa produttività per via della variabilità delle portate in base alla stagione.


Da questa lettera, si risale alla gestione dei Mina sin dai primi decenni del 1600.

"1651, Settembre 28
Illustrissimo Magistrato
Viene intimato alli fedeli servitori delle Signorie loro molto illustrissime Giulio e fratelli Mina detti Trotti, possessori di certo Molino situato sopra alcune fontane dette "la Lanza" nel comune di Cazzone (...) acciò paghino lire 480 (...) per le imposte degli anni 1621-1638 e 1647..."


Un anno più tardi, nel 1652, i paesi della Pieve di Uggiate furono chiamati a "pagare" la propria libertà al governo spagnolo per evitare di finire sotto la signoria di un feudatario. Nei paesi della Pieve il questore don Carlo Sirtori con una istruttoria interrogò tutti i consoli per verificare il numero di "fuochi" (nuclei familiari). A Cagno, il console Giacomo Bernasconi cita tra i capifamiglia anche "Antonio Mina molinar chiamato il trotto". Le famiglie di Cagno pagarono la propria libertà, al Mulino "del Trotto" era iniziata la dinastia dei Mina.

Il passaggio dal XVII a XVIII vide anche un profondo cambiamento sociale, con il passaggio dal governo spagnolo alla dominazione austriaca con la casata degli Asburgo. La profonda crisi economica del territorio vessato dalle imposizioni fiscali, portò alla realizzazione di una nuova e approfondita istruttoria, ossia alla nascita del noto "Catasto Teresiano" della prima metà del 1700. Nel 1722 contribuì a definire la situazione del paese di Cagno, Carlo Francesco Mina, di 40 anni, mugnaio al Molino del Trotto, allora dotato anche di segheria e torchio per olio. Così dichiarò:


"Son nativo di Cagno ed abito in detto luogo, e faccio anche il molinaro in un molino di tre ruotte con una resica e torchio da oglio, che tengo in affitto dal signor Pietro Giulio Cesare segretario Larghi con pertiche ventisei aratorio, pertiche dodeci vitato, pertiche ventidue prati pascolivi e pertiche quindeci bosco e pago annualmente moggia sette formento, moggia sette segale e stara quattro miglio e lire 8 in denari; non pago appendizii. Le reparazioni delle case si fanno dal padrone e la manutenzione dell’edifizio del molino si fa da me; gli carichi vengono tutti pagati dal padrone e non vi è scrittura e detto affitto temporale è stato fatto sino dal fu mio padre, e per li sodetti terreni pago moggia tre e stara uno e mezzo formento, moggia tre e stara uno e mezzo segale e lire trent’otto in denari ed il restante fitto lo pago sopra il molino, come sopra, ed il da me deposto è la verità."

Schizzo della corte dell'ing. Aurelio Marazzi di Cagno (1989)
Edito il catasto nel 1755, si rileva che il mulino del Trotto era passato dalla proprietà del segretario Pietro Cesare Larghi, segretario generale del governo milanese, a quella di Felice Radaelli, anche se continuava la conduzione come mugnai della famiglia Mina. L'edificio risultava costituito da due parti distine: una adibita a casa da massaro e di proprietà della famiglia Odescalchi e una seconda adibita a mulino, torchio e segheria del Radaelli. Nel 1770 capo famiglia al Mulino risulta essere Baldassarre Mina, figlio di Carlo, che salì agli onori della cronaca nel 1772 per questioni di tasse da pagare, contrabbando e raccomandazioni... una storia dei giorni nostri si direbbe!

In quegli anni, l'approvigionamento del grano avveniva sul mercato di Saronno ed i mugnai delle valli, girando a ridosso del confine per raccogliere dalle singole famglie le granaglie da macinare, spesso ne cedevano una parte nella vicina Svizzera, un vero e proprio contrabbando. Nel tentativo di limitare questa pratica, per i mugnai reidenti vicino al confine i governanti introdussero, oltre alla licenza per il prelievo e il trasporto del grano, una "bolla di accompagnamento" su cui riportare le quantità prelevate e trasportate verso il proprio mulino: tutto quell che non veniva macinato e distribuito come farina, era considerato contrabbando verso la Svizzera e punito con le dovute sanzioni. L'imposizione destò grande preoccupazione e lamentele da parte dei mugnai, incapaci di scrivere e timorosi di essere inquisiti. Si scoprì in quella occasione che proprio il nostro Baldassarre Mina, mugnaio del mulino che era stato di proprietà del segretario Larghi, era stato esentato dall'annotare le quantità di granaglie movimentate al di sotto delle 6 stare (una "stara di Como" consisteva in circa litri 18,8). Complice anche questa "raccomandazione", l'esenzione fu estesa a tutti i mugnai della zona, con disposizione sottoscritta da un certo Cesare Beccaria, allora Ministro delle Finanze dello Stato di Milano e futuro nonno di Alessandro Manzoni.

 
Nel 1774, la proprietà del mulino passò per eredità da Felice ad Alessandro Radaelli e solo il 2 luglio 1796 fu acquistato dalla famiglia Mina, che da allora lo ha tramandato fino ai giorni nostri. Nel 1911, gli eredi degli allora mugnai, fondarono un Circolo Famigliare Vinicolo, di cui rimane ancora testimonianza nel dipinto sulla parete esterna. Erano quelli gli anni in cui la vicina ferrovia della Valmorea vedeva la sua costruzione e i Mina colsero l'occasione per fondare una vera e propria "trattoria" per gli operai impegnati nelle opere.

L'ultima opera degli attuali eredi del vecchio Antonio è stata la creazione di una struttura fissa ricettiva "Felice Mina" idonea a offrire ospitalità, pernottamento e soggiorno temporaneo a gruppi di persone, giovani e loro accompagnatori per lo svolgimento di attività educative, didattiche, sociali e religiose che enti, organizzazioni e associazioni senza scopo di lucro intendono realizzare nell’ambito dei loro fini istituzionali e statutari e che trova nel rispetto reciproco il suo valore fondamentale ai sensi della legge (LR 16/2008). Nel periodo invernale, dall'8 dicembre al 16 gennaio, il Mulino si colora di migliaia di lucine natalizie.
Il mulino illuminato (M. Parietti, 2019)
LA STRUTTURA DEL MULINO
Le più antiche testimonianze, come abbiamo visto, riportano al 1592 con un mulino dotato di tre mole e, nel secolo successivo, arricchito di una segheria e un torchio per olio (1722). Non si hanno tuttavia ulteriori notizie o maggiori informazioni sulla struttura nel suo complesso, fino al 1868 quando un ingegnere fu incaricato dai Mina di effettuare una descrizione e la stima del fabbricato per effetuarne la suddivisione tra le proprietà.

Dalle parole dell'ingegner Giacomo Cattaneo si delinea un mulino già strutturato come quello che è arrivato ai giorni nostri: l'edificio risultava costruito interamente in "sassi cotti in calcina, coperti da tetti in tegole con armature di legname alla costumanza del paese", aveva pianta irregolare e ballatoi in legno che si affacciavano sulla corte, che ospitava torchio e segheria. Al di là di queste due ultime, andate perse nel tempo, tutte le strutture descritte sono ancora rilevabili attualmente nell'edificio, con la classica corte lombardia con lobbie in legno.

Al piano terra sono ancora presenti gli impianti del mulino: il primo, meno conservato e attestato dalla documentazione dell'800, consiste in un mulino da grano con tre macine e ingresso dal porticato; il secondo, costituito da due macine e visitabile, mantiene inalterate le caratteritiche strutturali seppur sia venuta meno la funzionalità; il terzo è costituito da due macine, cui si accede dal cortile retrostante. Esternamente, al termine della roggia molinara, permangono due delle tre ruote che azionavano le macine all'interno. Costruite in ferro, sono state installate negli anni '40, in sostituzione di quelle originali in legno, e hanno diametro di 260 cm e 322 cm. Entrambe vengono caricate dall'acqua della roggia molinara a caduta dall'alto.
Prospetto dell'edificio dalla corte (A. Briccola, 1991)

La struttura originale della roggia molinara, che derivava l'acqua dal torrente Lanza a monte per alimentare le ruote del mulino, è andata persa negli anni. Rimangono le opere di presa, qualche centinaio di metri a monte del borgo, e l'ultimo tratto ripristinato nel 2017 a fini didattico/turistici. Un sistema ad accumulo, regolato da una chiusa, permette di raccogliere le acque dal versante e canalizzarle lungo l'antico tracciato della roggia, fino alle ruote del mulino.

L'impianto visitabile, come detto, è costituito da due macine in serizzo con una parte sottostante, detta "dormiente", fissa e una sovrastante mobile che ruota sulla precedente, azionata da un sistema di ingranaggi e cinghie. Ben conservato è anche il buratto da farina, strumento utilizzato per setacciare la farina.

All'interno dei locali privati al piano terra del mulino, sono presenti una colonna e una vasca in marmo di arzo risalenti al periodo romano, testimonianza della dominazione dei nostri territori nei primi secoli d.c.

Nella corte, destinata attualmente ad abitazioni private, permangono alcuni locali che evocano la vita del borgo nei secoli scorsi. In particolare, è stata recuperata l'antica stalla, dotata ancora delle originali mangiatoie per i diversi animali dei mugnai: cavallo, con una struttura in ferro sotto l'abbaino, mucca e maiale, ad altezze inferiori.

Il porticato è adorno delle opere di un famoso scultore, che proprio al Mulino ebbe i suoi natali....

FELICE MINA: DAL GRANO ALLA PIETRA

Nato nel 1912, si forma come scalpellino a Viggiù per poi tarsferirsi a 17 anni a Milano per frequentare l'Accademia delle Belle Arti di Brera e la Scuola superiore d'Arte applicata all'Industria del Castello Sforzesco. Nel 1935 apre uno studio a Milano, insieme al pittore Buttafava con cui collabora nel corso degli anni con grande successo. Dal 1954 al 1976 è anche insegnante alla Scuola d'Arte che frequentò durante gli anni della formazione giovanile.

Considerato tra i più importanti scultori figurativi del 900 italiano insieme a Francesco Messina, Giacomo Manzù, Arturo Martini e Marino Marini, la sua produzione artistica è caratterizzata da uno stile sobrio ed incisivo, dall’equilibrio dei volumi e dall’accuratezza del modellare le figure secondo i canoni classici della scultura. Le sue opere sono raccolte in collezioni private in tutto il mondo, ma si trovano anche nel nostro territorio, come i monumenti ai caduti di Cantello, Azzate, Albiolo, Cagno e Buguggiate.
Noto medaglista, tra le sue opere anche la medaglia dedicata a Papa Giovanni XXIII che nel 1968 gli astronauti dell’Apollo 8 hanno portato nella prima circumnavigazione della Luna. È anche autore di opere d’arte sacra tra cui il crocefisso astile che Papa Paolo VI ha portato nel suo viaggio alle Filippine nel 1970.

Alcune delle sue opere sono esposte presso il mulino.

"Deposizione di Gesù"
Calco in gesso (originale in Bronzo)
Penultimo episodio della passione di Gesù, Maria e Giuseppe d'Arimatea depongono ai piedi della croce Gesù ormai defunto.
"Angelo consolatore"
Calco in gesso - Anno 1955 (l'originale in granito rosso Labrador è collocato Cimitero Monumentale Milano - Edicola "Lamini-Pasta")
"Storia dell'edilizia"
Bassorilievo in marmo Botticino - Anni '60
L'evoluzione dell'edilizia nei millenni, da sinistra a destra, dalla Preistoria con le palafitte e i dolmen, all'epoca dei greci con il Partenone a quella dei romani con il Colosseo, il Medioevo, l'800 con la Mole Antonelliana e il 900 con i palazzi moderni, come il Pirellone che completa l'opera a destra con gru e cemento.
"Madonna con Bambino"
Bassorilievo in Bronzo
Soggetto tradizionale dell'iconografia cristiana, raffigura la Vergine Maria con Gesù bambino.
"Santa Chiara"
Incisione su marmo rosso di Verona - Anno 1953
"Ingresso a Gerusalemme"
Incisione su terracotta
Classifca iconografia cristiana, mostra l'ingresso di Gesù a Gerusalemme seduto su un asino, pochi giorni prima l'inzio della Passione, ricordato nella Domenica delle Palme.
ALTRE OPERE DI FELICE MINA CONSERVATE AL MULINO
"Paolo Giovio"
 
"Papa Innocenzo XI"
"Alessandro Volta"
"Plinio il Giovane"

Bozzetti in carboncino poi cesellati a sbalzo su rame, ornano la Sede della banca "Credito Italiano"  in piazza Cavour a Como. Raffigurano quattro personaggi storici di rilievo che ebbero i loro natali a Como e nella sua Provincia.
Paolo Giovio (Como, 21 aprile 1483 circa – Firenze, 12 dicembre 1552) è stato vescovo cattolico, storico, medico, biografo e museologo;
Papa Innocenzo XI (nato Benedetto Odescalchi; Como, 19 maggio 1611 – Roma, 12 agosto 1689) è stato il 240º papa della Chiesa cattolica dal 1676 alla sua morte; è stato proclamato beato da Pio XII nel 1956;
Alessandro Volta (Como, 18 febbraio 1745 – Como, 5 marzo 1827) è stato chimico, fisico e accademico italiano, conosciuto soprattutto per l'invenzione della pila e per la scoperta del gas metano.
Gaio Plinio Cecilio Secondo, nato Gaio Cecilio (Novum Comum, 61 o 62 – Bitinia o forse Roma, 114 circa), è stato avvocato, scrittore e magistrato romano, conosciuto come Plinio il Giovane.

Quest'opera, che ritrae in modo pregevole il viso di una donna misteriosa, è stata scolpita dall'artista nel 1943 in marmo di Candoglia. 

La pregevole rifinitura, l’impostazione classica, sobria e curatissima ne fanno un chiarissimo esempio dello stile dell’artista. Ma l'identità della donna ritratta con tanta cura e perfezione è ignota. Ricercando con pazienza tra le foto delle modelle che per lui posarono non sono stati però trovati visi che la possano incasellare come una di loro. Di certo non si tratta di donna di spettacolo, avvezza alla ribalta come un’attrice, una cantante o una ballerina. Analizzandone l’acconciatura (una compostissima treccia ad aureola, di solito usata per raffigurare virtù come la purezza e la fedeltà in contrapposizione ai capelli sciolti simbolo di libertà, emancipazione ed erotismo ) ne farebbero propendere l’attribuzione ad una donna dal viso nobile e dolce, madre e moglie fedele ma anche dal destino triste legato ad una morte forse prematura.

L'opera è stata oggetto di una mostra organizzata al mulino nel gennaio del 2017.
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Fabio Facetti, erede della dinastia dei Mina, ci racconta il Mulino del Trotto

BIBLIOGRAFIA

"Cagno La sua storia la sua gente" - M. Mascetti - Comune di Cagno 1996

"Il mulino ad acqua nell'area lombardia. Il caso del Mulino del Trotto nella Pieve di Uggiate." - Tesi di Laurea di Annamaria Bricola


Felice Mina. (26 aprile 2020). Wikipedia, L'enciclopedia libera. Tratto il 26 aprile 2020, 18:20 da https://it.wikipedia.org/w/index.php?title=Felice_Mina&oldid=109212955.

"Una serata per ricordare lo scultore Felice Mina". VareseNews, 7 settembre 2016

"Il mistero della donna dei Mulini". VareseNews, 27 dicembre 2016

COME RAGGIUNGERLO

A piedi
Percorrendo il Sentiero di Fondovalle

In auto
Il mulino è situato in Via Mulino del Trotto a Solbiate con Cagno (CO)