Il colle di San Maffeo si eleva come sentinella naturale sopra le ampie vallate di collegamento che, dal lago di Lugano, portano verso la pianura padana lungo le valli del fiume Olona e dei torrenti Lanza e Lura. Sulla sua cima, vestigia di ciò che un tempo fu una piccola cittadella difensiva, sorge ancora un troncone di una imponente torre di osservazione costruita interamente in blocchi di pietra e che, sebbene oggi veda la sua altezza notevolmente ridotta rispetto alle origini, mantiene comunque inalterata per il visitatore la sua possanza e solidità.
LA FAMIGLIA MATTIROLO SALVA LA TORRE DALLA... SPECULAZIONE EDILIZIA
Durante l'Ottocento, la Torre fu salvata dalla demolizione dall’intuito di Giuseppina Colli, la madre del futuro professor Oreste Mattirolo che dedicherà poi molti dei suoi studi di archeologia proprio a questo prezioso manufatto. Era il 1863 e l’unità d’Italia appena conclusa portava con sé gli oneri delle cospicue spese militari sostenute. Tra le innumerevoli iniziative di “cassa”, il Governo di allora pensò di mettere all’asta ciò che della torre era sopravvissuto all’inesorabile passaggio del tempo e alle tante razzie di materiali che già aveva dovuto sostenere. L'acquirente principale fu una cooperativa di scalpellini di Viggiù, che vedeva nello smantellamento e nel recupero delle pregiate pietre millenarie già ben squadrate e pronte all’uso un ottimo affare. Si oppose però con un’offerta vincente, dettata sia dal cuore che dall’amore per la storia locale, la signora Mattirolo che, acquistando il terreno, ne divenne proprietaria lasciandola poi in eredità ai figli. Sarà infatti il figlio Oreste a metterla definitivamente al sicuro da futuri rischi facendola includere il 24 novembre 1902 nell’Elenco dei monumenti di interesse artistico nazionale. La torre divenne poi definitivamente di proprietà comunale acquistandola dai privati sopravvenuti ai Mattirolo.
La torre, a base quadrata, misura 9,75m di lato per un’altezza di circa una decina di metri. Le sue mura sono di notevole spessore, circa due metri e mezzo per cui all’interno vi è una cavità di 4,5m di lato. L’altezza originaria, valutata secondo la tipologia di torri di osservazione coeve, può essere stimata in circa tre volte l'attuale, raggiungendo una trentina di metri di quota. Alla base non vi erano aperture per cui si poteva accedere ai piani in legno superiori solo attraverso scale che, in caso di pericolo, potevano essere prontamente ritirate dai difensori. L’apertura presente oggi sul lato Sud-Ovest (chiusa con un cancelletto in metallo) è frutto di vari tentativi di penetrazione e demolizione, mentre sul lato Sud-Est si trova l’uscita di un piccolo canale di scolo che, scorrendo verticalmente inglobato tra le possenti mura, fungeva da scarico per i rifiuti della guarnigione.
Le pietre utilizzate per l’esterno sono ben rifinite e squadrate in blocchi, intagliate nel granito serizzo, detto anche ghiandone, mediamente di altezza variabile tra un piede (circa 30cm) e un cubito (circa 45cm). La loro larghezza è pure di un cubito mentre la lunghezza è variabile arrivando fino al metro e, in alcuni angoli anche a due. All’interno della torre si trova un secondo muro messo a dimora con pietre di analoga dimensione ma, in questo caso, non rifinite superficialmente e lasciate grezze in quanto non correvano il rischio di essere scalate. La finitura molto grezza ha permesso una forte presa al misto di calce viva e pietre gettate a caldo per il suo riempimento. In questo modo si è creato un conglomerato artificiale molto resistente, perfettamente conservato ancor oggi come evidenziato dall’assenza di crepe strutturali e dal mancato attecchimento di specie arboree rampicanti e demolitrici. Il muro risultante, dello spessore totale di circa due metri e mezzo, è di grande solidità, adatto sia a sopportare il peso dell’elevazione in altezza della torre che gli eventuali tentativi di sfondamento e, inoltre, di sicura fondazione appoggiando direttamente sulla solida base rocciosa del colle. L’interno è stato intonacato a scopo conservativo nel 1969 e purtroppo oggi non permette una facile lettura della metodologia costruttiva originale.
Su alcune pietre delle mura esterne sono presenti ad altorilievo alcune figure decorative: sul lato Nord-Ovest troviamo un uccello a forma di colomba e una rozza figura antropomorfa, mentre sul lato opposto di Sud-Est si possono scorgere un pesce e un segno a forma di “S”. La colomba e il pesce secondo alcuni studiosi ne potrebbero confermare l’origine tardo romana o posteriore quando il cristianesimo divenne la religione ufficiale dell’impero e, in seguito, anche del regno longobardo.
All'intorno della torre e della cisterna vi era un muro a difesa alto 4-5 metri con uno spessore medio di circa 1 metro corrispondente a 3 piedi romani. Scopo della muraglia era quello di fermare provvisoriamente le eventuali incursioni, dando il tempo alle vedette di ritirare le scale asserragliandosi nella torre. Si inviavano nel frattempo messaggi in codice sia visivi (bandiere) che luminosi (fuochi) alle torri del sistema difensivo confidando nell’aiuto delle guarnigioni limitrofe. I resti originari delle mura sono ora in gran parte interrati o appena affioranti dalla piana che congiunge la torre con l'attuale chiesetta di San Maffeo.
Per tutto il periodo dell’Impero Romano, dopo la conquista dell’odierna Svizzera e delle Gallie ad opera di Cesare, la zona pedemontana attraversa un lungo lasso di tempo ove regnavano pace e tranquillità, con le legioni e i forti dislocati molto più a nord, sul limes (confine) segnato dal Reno e dal Danubio. Per alcune centinaia di anni non si verificano sfondamenti di grave entità, fino alla prima invasione ad opera degli Alamanni che, nel 259 d.C., si spingono fino a Milano.
Il pericolo delle invasioni produce un’intensa crisi economica, con la conseguente decadenza delle infrastrutture idriche e viarie per assenza di manutenzione. Vaste zone di fertile pianura, con i relativi centri abitati, vengono così abbandonate in favore di colline e alture, meno esposte e, nel caso, più facilmente difendibili con fortificazioni.
A quella degli Alemanni, seguono le invasioni dei Visigoti, degli Unni e dei Goti nel 489 d.C. Il confine dell’Impero che, in origine, era sul Reno al di là delle Alpi, si sposta quindi definitivamente verso sud, andando a coincidere con le estremità meridionali dei laghi prealpini. Tra questi, le difese naturali vengono integrate da fortificazioni con funzione non solo di segnalazione ma anche di alloggiamento truppe e magazzini logistici.
Di vitale importanza diventano così le vie trasversali che, da Aquileia ai laghi prealpini, devono permettere un rapido movimento delle truppe. La rete viaria che a pedemonte collega tra loro i passi alpini è in funzione fin dal III secolo, mentre il suo prolungamento da Como verso Varese (ex Vallis) ad Angera (Stationa) e infine a Ivrea (Eporedia), con il nodo strategico centrale posto a Castelseprio (Castrum Sibrium), è per contro sicuramente databile nel IV-V secolo d.C.
Le torri di avvistamento dei centri fortificati necessitano per il loro funzionamento di pochi addetti mentre, nelle vicinanze, si stabilisce la colonia militare vera e propria. Ad esempio, per la torre di Rodero, il presidio militare con le stalle (Stabulis) per la cavalleria si ritiene fosse insediato nella vicina e odierna quasi omonima Stabio, da cui si pensa abbia avuto origine il nome.
Il sistema romano prevede infatti che i militari si stabiliscano nei pressi delle fortificazioni, coltivando la terra e dimorandovi stabilmente come coloni, nelle parcelle di terreno a loro affidate dette "centurie". Ogni centuria ha una superficie di circa 5000 mq ed è in grado di assicurare una più che sufficiente produzione agricola per una famiglia composta da diverse persone (la centuria corrisponde alla superfice arabile da una coppia di buoi in un paio di giorni, un rettangolo di circa 100m per 50m).
In questo modo, difendendo il confine, i coloni difendono le loro famiglie e i loro beni e questo dà loro la necessaria motivazione a mantenere e fortificare il presidio affidato. Molti dei sentieri, dei fossati e delle linee di confine che formano l'attuale ossatura del reticolo dei mappali ricalcano ancora, specie nelle zone tra Olgiate Comasco e Mendrisio, l'antica suddivisione degli appezzamenti in centurie.
Caduta la primaria funzione militare, nei pressi delle antiche fortificazioni poste in cima ai colli trovarono rifugio anche diversi eremiti, spesso di origine orientale, che portano con sé alcune tradizioni tipiche di Costantinopoli, come il culto della Madonna della Cintola (vedi Monte Morone di Malnate, a ricordo della cintura da lei donata a San Tommaso e protettrice delle città fortificate cinte da mura) e il rito della pesatura dei bambini. Ad un primo semplice oratorio inglobato nelle mura si fa risalire l’edificazione di quella che diventerà poi la chiesetta attuale, la cui prima attestazione documentale risale però solo al 1438.
La dedicazione del colle a San Matteo ne rivela l’origine orientale, connessa con l’estirpazione della magia e la conversione degli ariani longobardi. La pronuncia greco-ortodossa del nome Matteo porta inoltre alla probabile modifica fonica della parola originaria nell'attuale e più inusuale Maffeo. Un’altra interessante ipotesi si fonda invece sulla errata interpretazione della doppia t di Matteo che, trascritto in stile gotico, richiama invece una doppia f.
La torre, la cisterna e la cinta muraria, fin da epoca tardo-medievale sono poi servite come abbondante riserva di materiale edile da costruzione a buon mercato. La comodità di trovare sul posto materiale di prim'ordine ha fatto sì che la parte superiore della torre venisse a più ripresa demolita fino all'altezza attuale di una decina di metri. Ad esempio molti blocchi furono riutilizzati come materiale di pregio nel 1713 nella edificazione della vicina chiesetta dedicata a Maria Regina Angelorum, oltre che nei muri a sostegno dell'attuale strada che permette l’accesso al colle
La zona circostante la Torre, un tempo mantenuta libera da alberi e arbusti per garantire la visibilità in ogni direzione, ha subito, specie dopo il 1950, l'abbandono dei terrazzamenti coltivati e dei prati, permettendo al bosco di crescere indisturbato fin quasi ai suoi piedi. È venuta così a mancare la vista originaria a 360° per godere pienamente dello stupendo panorama sulle colline e le montagne delle Prealpi (aperto, per ora, solo in direzione sud e dove, nelle giornate serene, si possono intravvedere anche le inconfondibili linee dei nuovi grattacieli di Milano).
Nel prato che collega la Torre alla chiesetta vi sono altri due reperti significativi: un cippo con teschio funerario ed una colonna sormontata da una croce. La colonna ha una storia travagliata. Di colonne commemorative sormontate da una croce (erette solitamente a ricordo e testimonianza delle visite pastorali di San Carlo) a Rodero ve ne erano addirittura due: la prima presso la chiesetta di San Maffeo mentre la seconda si trovava in via della Croce (cui dava il nome, ora diventata piazza Libertà). Caduta e frantumatasi la prima, la seconda venne invece urtata da un camion in manovra durante lo smantellamento di una vicina tessitura verso la fine degli anni sessanta. La volontà popolare la volle comunque prontamente ricostruire e, qualche anno dopo, venne posizionata sul colle ove fa ora bella mostra di sé giusto a fianco del cippo funerario.
Il cippo con teschio è stato posto a dimora nel 1864 a ricordo dei ritrovamenti di antiche tombe nei pressi del paese e della torre. Sono "I pori mort de San Mafè" oggetto di particolare devozione in zona e nei paesi limitrofi. Sono stati rinvenuti anche resti di cremazione (ceneri carboniose) provenienti da pire funebri o urne cinerarie e da inumazioni (ossa scheletriche e crani). Entrambi i ritrovamenti testimoniano la probabile presenza in zona di una necropoli sia di epoca romana antica che posteriore. La tecnica della sepoltura/inumazione divenne infatti molto più comune nelle usanze romane solo dopo la definitiva affermazione della religione cristiana. I resti sono custoditi dal 1911 in una piccola urna vetrata sormontata da un'epigrafe latina posta nella vicina chiesetta:
VETERUM OSSA
A MAIORIBUS IAMDVDVM PIE ADSERVATA
HONESTIOREM IN LOCVM COMPOSITA
"Le ossa degli antichi
già da molto tempo piamente conservate
vengono ricomposte in questo luogo più onorevole"