© 2020 PLIS Valle del Lanza
 
LA VALLE DELL'OLONA TRA MULINI E OPIFICI

Se il tempo non avesse mutato la storia economica e sociale del nostro Paese, oggi definiremmo il piccolo scorcio della valle dell'Olona che si apre ai piedi di Malnate "polo industriale". Quanto rimane invece rientra ormai nella "archeologia industriale", resti abbandonati di una realtà lavorativa che animò la vita dei nostri avi. I soli toponimi delle località che si incontrano scendendo nella valle sono sufficienti per farci capire quanto fosse cruciale questa zona per l'economia malnatese: le Gere e la "Curva di Vagunei", lasciano trasparire l'attività di estrazione delle ghiaie svolta sin dal XVIII secolo, che venivano caricate su piccoli vagoni e trasportate fino alla strada per Varese, la frazione della Folla deve probabilmente il suo nome all'attività di follatura dei tessuti o alla produzione di carta.

Ma chiudiamo gli occhi e facciamoci accompagnare nel racconto della secolare storia produttiva della nostra valle.

A destra, una foto probabilmente degli anni 30 del 900. In primo piano il viadotto ferroviario che collega Malnate a Varese, noto come "ponte di ferro", nel fondovalle l'antico "incannatoio delle Gere" e alle sue spalle le cave di ghiaia alla "curva di vagunei" con l'abitato di Malnate sullo sfondo.

Anno 2020
Un turista si lascia le spalle il traffico di via Varese, incamminandosi lungo via Gere. Segue lo scorrere incessante delle acque del fiume Olona, addentrandosi tra fioriti prati e boschi rigogliosi, osservando di qua e di là dal corso d'acqua vecchi ruderi che si ergono, chi in verticale chi in orizzontale, tra una vegetazione che sta inesorabilmente prendendo il sopravvento. Si riposa all'ombra del grande ponte in calcestruzzo per proseguire il suo cammino verso Gurone, osservando sulla sponda opposta i resti dei binari della vecchia ferrovia della Valmorea.

Anno 1920
Se quel turista potesse tornare indietro di soli 100 anni, troverebbe una valle totalmente diversa attorno a sé. Scendendo lungo una polverosa strada per Varese, lasciate alle spalle le secolari cave di ghiaia alla "curva di vagunei", segue l'incessante rumore proveniente dalle fabbriche situate lungo il corso dell'Olona: alla grande officina meccanica Conti, che da poco ha assorbito gli edifici di una antica e importante cartiera, si unisce, nascosto in località Gere, un opificio per la spremitura di semi oleosi. Il nostro turista non trova nemmeno il maestoso ponte con i suoi bianchi pilastri, al suo posto il "ponte di ferro", grande opera ingegneristica di fine Ottocento, ai cui piedi transita la ferrovia che proviene da Castellanza e che da qualche anno è stata prolungata fino a Valmorea, diventando un volano per lo sviluppo delle imprese della valle. Sono questi i testimoni ultimi di una lunga storia industriale e produttiva che ha caratterizzato la nostra valle, sviluppatasi nell'arco degli ultimi 200 anni.

Anno 1850
La macchina del tempo riporta indietro il nostro viaggiatore di 70 anni, fino alla metà del XIX secolo. Probabilmente l'entità del rumore proveniente dalla valle sarebbe di poco differente da quello sentito nel suo primo viaggio, ma questa volta "responsabili" sono gli opifici distribuiti sulle sponde dell'Olona, operosi nella filatura della seta e del cotone. Attività che in quegli anni rappresentano un'industria di qualità, fiore all'occhiello dell'economia malnatese, ma che nei primi anni del 900, al termine di un periodo di crisi generalizzata del settore, andranno incontro a un secondo grande cambiamento della linea produttiva, con la conversione nelle officine meccaniche che abbiamo conosciuto poco fa.

Anno 1750
Un altro salto indietro nel tempo, altri cento anni tondi tondi, e il nostro turista tornerebbe in una tranquilla valle, dove a farla da padrone è l'attività dei mugnai, intenti alla pulizia delle rogge molinare, alla manutenzione delle macine e a scaricare dai carri il grano, per poi caricarne la farina. Il mulino è stato per secoli il fulcro della vita economica e sociale della comunità, ma sta andando incontro a un primo radicale cambiamento che vedrà la nascita degli impianti di lavorazione di seta e cotone.

Nel 1881 la vita economica malnatese era tutta concentrata nella valle dell'Olona. Nella foto dell'epoca, il cotonificio Schoch nei pressi dell'attuale rotonda della Folla di Malnate. Sull'altura sullo sfondo, la Chiesa di San Martino con il campanile posto davanti all'attuale ingresso.
I MULINI DEL 700
Come raccontato nel nostro iniziale viaggio indietro del tempo, fino ai primi decenni del 1800 lo spicchio malnatese della valle dell'Olona, dove il fiume riceve le acque del torrente Lanza, è costellato di mulini ad acqua, dediti alla produzione alimentare di farine, ed è nota infatti sin dai secoli precedenti come "valle dei mulini". Poco in realtà si conosce di queste strutture, se non il nome e la posizione. E più si va indietro nel tempo, più anche queste informazioni si perdono. Sin dal 1573, citati nello status animarum di Malnate, viene attestata la presenza di mugnai (meglio conosciuti come molinari), la maggior parte della storica famiglia dei Pessina. Nel 1597, vengono citati tre mulini, denominati Molino del Carcano, del Vanello e del Besana (questi ultimi due erano membri della famiglia Pessina). Durante il Settecento diventa più puntuale e approfondita la rilevazione delle attività produttive. Nel 1733, da un censimento dei mulini operato dal Consorzio del fiume Olona, sul territorio di Malnate ne vengono citati ancora tre: il Molino con sette ruote del sig. Giovanni Battista Fassi, il Molino del sig. Ing. Bernardo Pessina, affittato a Giacomo Pini, e il molino del sig. Giacomo Pessina, affittato da Antonio Brusa.

Con il catasto teresiano del Settecento si hanno informazioni più precise sui mulini presenti a Malnate e sui loro proprietari.

Il Mulino delle Sette Mole, posto più a monte degli altri, sorgeva lungo la strada che da Varese portava a Como, tra le attuali rotonde di Via Varese e Viale Belforte. Nel 1753 è di proprietà di Stefano Pessina, mentre nel 1772 proprietaria è la famiglia Sottocasa. Lo ritroviamo ancora attivo negli anni 70 dell'Ottocento, di proprietà dei Consorti Realini e delle sorelle Taglioretti. Oltre alla produzione alimentare (sia farina che riso), è presente anche un'impianto di "follatura" della carta di Battista Zorzi. Il suo destino andò unicamente in quest'ultima direzione.

Il Mulino dei Ratti, situato a ridosso dell'attuale rotonda di via Varese, viene descritto come struttura in pietra e mattoni, con pianta irregolare, edificata su due piani con una corte centrale. Documentato già nel 1772, risultava allora di Donna Elena Pessina, lo ritroviamo di proprietà di Pietro Taglioretti nel 1827.

Il Mulino della Folla, l'attuale Mulino Bernasconi (nell'immagine la ruota lungo la roggia molinara), è il più noto e l'unico ad aver mantenuto fino ai giorni nostri la struttura produttiva in opera. Attestato sin dal Catasto Teresiano del 1722, ad esso sarà dedicato uno specifico approfondimento tra le nostre "Perle".

Del Mulino Gere, situato nei pressi dell'omonima località, non si hanno ulteriori informazioni se non la posizione e l'attestazione a partire dalla seconda metà del 1700. Nei primi decenni del 1800 fu probabilmente inglobato nell'opificio Maggi.

IL 1800 E LA NASCITA DEGLI OPIFICI
Sin dai primi decenni dell'800, i mulini presenti nella valle dell'Olona vanno incontro a una radicale trasformazione della linea produttiva e lo stesso destino conoscono le strutture situate alla Folla di Malnate. Tutta l'area comasca sin dal 1300 è stata uno dei principali distretti dell'industria laniera, seppur non vi siano evidenze che questa attività fu svolta anche a Malnate. Tuttavia, quando il settore sul finire del Settecento va incontro a una crisi che ne determina la progressiva scomparsa, è la gelsibachicoltura a diffondersi in tutto il Ducato di Milano, così come anche a Malnate, che diventa inoltre un importante centro per l'industria del cotone, grazie all'arrivo dalla vicina Svizzera di imprenditori e maestranze specializzate nel settore.

Malnate, grazie alla sua posizione geografica a pochi chilometri sia dalla città di Varese sia dal confine svizzero, alla presenza del fiume Olona che fornisce la forza motrice necessaria al funzionamento degli impianti industriali e che già ha sulle sue sponde strutture produttive che sfruttano la forza delle acque, ma anche alla presenza di un'abbondante disponibilità di maestranze a basso costo, diventa luogo ideale per lo sviluppo di nuovi insediamenti produttivi. Le politiche agricole del piccolo Comune cambiano, affiancando alle coltivazioni agricole quella del gelso, che permette anche di minimizzare i costi di spostamento della materia prima dai siti di produzione a quelli di lavorazione.

Nascono quindi i primi opifici sulle rive dell'Olona, che per almeno mezzo secolo segnano l'economia del paese.
IL COTONIFICIO DI ENRICO SCHOCH
Nel 1827 l'imprenditore svizzero Enrico Schoch acquista le proprietà di Pietro Taglioretti, circa duemila metri quadrati di terreno che includono un prato e una struttura adibita a mulino detto “dei Ratti”, rilevando la concessione per l’uso perpetuo delle acque e avviando l'anno successivo un cotonificio che sfrutta il sistema di chiuse e rogge molinare preesistente, per la filatura del cotone. Di origine zurighese, la famiglia Schoch è presente sul mercato commerciale lombardo già da diversi decenni, tra quegli imprenditori stranieri specializzati che raggiungono l'Italia, spinti dalle politiche commerciali francesi che favoriscono lo sviluppo dell'industria nell'area lombarda, radicandosi nella vita economica del nostro territorio, ma anche sociale, al punto che Enrico fa battezzare i quattro figli nella parrocchia di Malnate. Oltre allo stabilimento di Malnate, nel 1833 il fratello Giovanni avvia un secondo cotonificio a Castiglione Olona, oltre a quelli di Besozzo e Gavirate.

Nella foto a destra, il cotonificio come appariva nel 1881.

La prima testimonianza dell'entità produttiva della fabbrica malnatese risale al 1837, quando il Castiglioni nella sua "Storia fisica e politica della città di Varese e terre adiacenti" (dove abbiamo già viste citate le cave di molera del Monte Chignolo) riporta la produzione di 1600 fusi l'anno, con circa un centinaio di persone impegnate quotidianamente, probabilmente esagerandone il numero.
Nel 1839 Enrico Bodmer e Francesco Stecchini, imprenditori originari di Venegono Inferiore, rilevano la proprietà degli Schoch, tentando di avviare anche un commercio all’ingrosso di cotone. Tuttavia i due sono noti alle autorità come "abituali contrabbandieri" e accurate indagini dell'Intendenza di Finanza portano al diniego dell'avvio dell'attività commerciale, in quanto viene rilevato che i cittadini malnatesi non hanno la necessità di rifornirsi di merci di cotone in mercati diversi da quelli della vicina Varese. Viene quindi portata avanti solo l'attività produttiva che nel 1844 vede impiegate cinquantotto persone: diciannove operai dai nove ai quattordici anni, diciotto dai quattordici ai quindici e ventuno di maggiore età. L'attività produttiva non conosce interruzioni durante l'anno e l'orario è di 14 ore al giorno. Nel 1846 i due imprenditori, titolari di una azienda ormai in rovina, dichiarano fallimento e sono ancora gli Schoch, con il fratello di Enrico, Giovanni, a subentrare e tornare alla guida dell'"azienda di famiglia" che in pochi anni torna ad essere il principale filatoio del territorio. L'"Elenco delle filature di cotone esistenti nella provincia di Como" del 1853 presenta l'opificio con 8 macchine per filare, 73 lavoratori e una produzione di 2256 fusi l’anno. È sempre significativa l'età degli operai impiegati: oltre a venti uomini e quindici donne, ben trentotto sono bambini e prendono rispettivamente una paga giornaliera di 1,40 lire, 70 centesimi e 36 centesimi.

Schoch, in quegli anni di grande sviluppo industriale in tutta Europa, è in grado di recepire le nuove e migliori tecniche di lavorazione, importando macchinari dall’estero, per cui viene anche indagato dall'Intendenza di Finanza, senza conseguenze. Nel 1857 arriva a produrre c.a. 1400 quintali di filato e c.a. 400 di cascame. Nel 1863 produce 3200 fusi con tredici macchine. A causa della crisi che colpisce l’attività in tutta Europa, con difficoltà nel reperire la materia prima dagli Stati Uniti, impegnati nella Guerra Civile, anche Schoch è infine costretto a vendere la propria attività. Nel 1865 subentrano i fratelli imprenditori bustesi Introini che recuperano la produzione, introducendo caldaie a vapore per fornire la forza motrice. Nel 1873 arrivano a produrre 3408 fusi l’anno, affiancando ai vecchi sistemi produttivi, quelli più nuovi legati all'utilizzo delle caldaie.

Grazie anche alle nuove tecniche, l'attività degli Introini conosce un grande sviluppo, tanto da incorporare la vicina filatura Galli. La produzione prosegue fino ai primi anni del Novecento, quando probabilmente gli interessi dei due fratelli si concentrano sulle proprietà a Busto e Castellanza, e l'opificio di Malnate viene chiuso, anche se la sua storia come vedremo non finirà qui.
COTONIFICIO PRESTINI e FILATOIO GALLI
A conferma del grande sviluppo dell'industria del cotone tra gli anni Quaranta e Cinquanta del XIX secolo, Malnate vede la nascita di altri due cotonifici accanto all'attività ormai affermata degli Schoch. Nel 1839, Gaetano Prestini ottiene il permesso per costruire un filatoio di cotone, realizzato in località che rimane tuttavia sconosciuta, che arriva a produrre 1500 fusi impiegando venticinque operai nel 1844, per poi chiudere intorno al 1850. Risulta infatti assente nell'"Elenco delle filande, filatoi e incannatoi di seta della Provincia di Como" del 1853.

Contemporaneamente al Prestini, finalmente anche un malnatese avvia la propria azienda di filatura del cotone, Giovanni Battista Galli, nato a Malnate nel 1799. Il filatoio, come quello degli Schoch, sorge nel complesso del vecchio mulino dei Ratti e, complice probabilmente la crisi dell'azienda di Bodmer e Stecchini, diventa il principale cotonificio malnatese, con una produzione di 800 fusi e venticinque operai impiegati, dei quali quattordici sotto i quindici anni. Nel 1857 la produzione ammonta a c.a. 310 quintali di filato e 35 di cascame. Nel 1863 produce 700 fusi ed è dotato di tre macchine per la lavorazione del filato, che garantiscono una produzione comunque in grado di reggere la concorrenza con il vicino colosso degli Schoch. Negli anni Sessanta, anche il Galli va tuttavia incontro alla crisi del settore legata alla Guerra Civile americana, con un conseguente ridimensionamento dell'azienda di cui dal 1873 si perdono le tracce. Probabilmente, incapace di reggere la concorrenza della vicina azienda dei fratelli Introini, ormai dotata di macchine a vapore, l'imprenditore malnatese si vede costretto a chiudere la fabbrica, lasciandola in eredità al figlio Giuseppe che nel 1895 la vende proprio ai due fratelli bustocchi.
L'ATTORCITOIO MAGGI O "INCANNATOIO DELLE GERE"
La costruzione di una prima struttura in località "Gere", adiacente al mulino omonimo, sembra avvenire intorno al 1819, come testimonia la data dipinta all'ingresso, anche se non vi sono testimonianze di attività industriale. Proprietario è il comasco Carlo Maggi che, dopo la morte nel 1835, lascia ai sette figli la proprietà. I tre maschi rilevarono la parte delle quattro sorelle, poi Carlo Giuseppe diviene unico proprietario nel 1843, pochi anni dopo aver avviato l’unico setificio di Malnate in cui si svolge filatura e trattura della seta.

Qui accanto, una foto del 1881 riprende l'opificio delle Gere.

L’attività produttiva dovrebbe risalire al 1840, quando Carlo Giuseppe chiede al Consorzio del Fiume Olona l’autorizzazione a costruire un filatoio per la seta e acquista una concessione di ventotto anni per lo sfruttamento delle acque del fiume al costo annuo di 300 lire austriache. I primi dati dell’attività risalgono al 1844, quando lo stabilimento produce ottomila quintali di filato all’anno. Vi sono impiegate 82 persone - trentacinque ragazze di età compresa tra i nove e i quattordici anni e trenta tra i quattordici e i quindici, nove uomini e otto donne di età maggiore - per 14 ore al giorno - dalle 5 alle 12 del mattino e dalle 14 alle 19 del pomeriggio - per soli cinque mesi all'anno, da gennaio a maggio.
Nel 1853 viene descritto nell'"Elenco delle filande, filatoi e incannatoi di seta della Provincia di Como" come una filanda con 64 bacinelle, un filatoio con tre ruote azionate dal fiume e 63 incannatoi. Novantacinque erano gli operati impiegati, sette uomini, sedici donne e 72 ragazze. L'elevata presenza di giovani ragazze è facilmente spiegabile considerando la marcata differenza tra le retribuzioni: una ragazza percepisce 32 centesimi al giorno, contro i 40 di un coetaneo maschio, mentre per gli adulti la paga è di 48 centesimi per le donne e 1,20 lire per gli uomini. Nel 1873 vi lavoravano 113 persone, sempre in grande maggioranza donne, per 10 ore al giorno.

Complice il grande sviluppo dell'industria serica nel comasco ma anche l'esistenza di un mercato ideale in cui la domanda di filato è sempre maggiore dell'offerta e non vi sono realtà industriali in grado di "dominare" il mercato, anche l'attorcitoio Maggi, noto anche come "incannatoio delle Gere" conosce un periodo di grandi fortune fino alla metà degli anni 70 quando problemi finanziari personali e la crisi generale dell’industria serica, dovuta alle malattie che colpiscono il baco da seta, causano il dissesto del filatoio. Maggi muore nel 1875 oberato dai debiti. Gli esecutori testamentari cercano di vendere l’attività, ma sono rallentati dalla crisi economica e da problemi con il Consorzio del Fiume Olona per il pagamento della concessione di uso delle acque.

Nel 1878 l’imprenditore milanese Enrico Mayer rileva la proprietà del Maggi e acquista una concessione perpetua per l’utilizzo delle acque del fiume. Lo stabilimento viene ingrandito e modificati i canali che portano acqua alle ruote in legno che, nel 1897, vengono sostituite da una nuova ruota in ferro e addirittura viene installata una turbina per azionare l'impianto di illuminazione elettrica. Non si hanno dati sull’attività industriale, che continua però fino al 1913 quando vi è una crisi del mercato e l’attività viene rilevata dai fratelli Salmoiraghi di Fagnano, che trasformano lo stabilimento in opificio per la spremitura di semi oleosi, attivo fino al 1930.
CENNI SULLA PRODUZIONE DI SETA E COTONE
La lavorazione del cotone e, soprattutto, della seta sono, per quel tempo, attività complesse e "pericolose" che spesso espongono gli operai a "malattie da lavoro". Basti pensare che per la preparazione della seta, come vedremo, i lavoratori sono esposti ad ambienti umidi e all'uso di diverse sostanze chimiche. Non è un caso, analizzando le statistiche degli infortuni e delle morti sul lavoro del filatoio Maggi, che vi siano 100 malati e 28 morti nel decennio tra il 1861 e il 1871, a differenza dei numeri nettamente inferiori dei filatoi di cotone Introini e Galli, che contavano solo un morto ciascuno e ripettivamente 7 e 5 malati.

La seta costituisce l’involucro esterno, il bozzolo, che protegge le larve degli insetti Bombyx mori nella trasformazione in crisalide e farfalla. I bozzoli vengono quindi sottoposti a tre fasi di lavorazione: trattura, torcitura e tessitura.

La trattura permette di conservare i bozzoli e agevolare la lavorazione successiva. Vengono prima esposti al sole o a getti di aria calda per uccidere la crisalide. Dopo due o tre mesi di essiccamento e la divisione dei bozzoli perfetti (reali) da quelli difettosi, il filo di ogni singolo bozzo viene unito a quello degli altri, sfruttando le proprietà adesive del rivestimento esterno se bagnato in acqua calda. Durante la scopinatura i bozzoli vengono immersi in bacinelle di acqua calda a 60-70 gradi e sfregati per rimuovere lo strato superficiale non filabile (strusa) ed evidenziare l’inizio del filo. Vengono poi immersi in una seconda bacinella con acqua a 40-50 gradi e il filo viene attaccato a un aspo che lo trae fino all’esaurimento del bozzolo, quando la bava viene attaccata la filo successivo (trattura). Il filo viene poi essiccato, per rimuovere l’umidità che aumenta il peso.

Seta di qualità elevata può essere tessuta direttamente, mentre quella di qualità più scadente deve essere rafforzata abbinando due fili e torcendoli (torcitura). La seta torta viene immersa in un bagno acido per rimuovere la sericina e per rendere il filo permeabile ai colori. La seta greggia ottenuta dalla trattura può essere tinta solo dopo la tessitura.

Il cotone viene invece ricavato dalla bambagia che avvolge i semi delle piante del genere Gossypium ed è inizialmente trattato per trasformare le balle in fiocchi. La filatura inizia con la cardatura, operazione con cui il cotone prende la forma di nastro, poi sottoposto a stiraggio e torsioni per diventare filo. Il filato singolo viene inserito in macchine incannatrici e di ritorcitura che uniscono i fili in base alle esigenze, poi raccolto in matasse tramite aspatrici o in rocchetti con incannatoi.

Negli stabilimenti di Malnate che abbiamo conosciuto nel nostro viaggio indietro nel tempo, vengono effettuate solo le prime due lavorazioni, trattura e torcitura. Il numero di bacinelle (seta) e incannatoi (seta e cotone) sono usati come parametri per stabilire le dimensioni e l’operosità di uno stabilimento.
CENNI SULLE ARCHITETTURE INDUSTRIALI
Dal punto di vista delle architetture industriali, confrontando le vecchie foto dei vari corpi fabbrica che insistono sul tratto malnatese dell'Olona sin dall'Ottocento, balza subito all'occhio il differente sviluppo spaziale dell'opificio delle Gere e del cotonificio Schoch, rispetto a fabbricati più recenti come la SIOME o, in parte, la cartiera Molina.

Il fabbricato che ospita l'azienda Maggi, che ricordiamo risalire alla prima metà dell'Ottocento, ricalca la tipica struttura che i manuali dell'epoca disegnano per la costruzione di un setificio, con la massima correlazione tra la struttura architettonica e le necessità produttive. Sorge quindi una struttura "da manuale", la cosiddetta "fabbrica alta" con pianta rettangolare, sviluppata su tre piani che possono ospitare al piano terra i locali per l'acquisto dei bozzoli, il forno e il motore della filanda, al primo uno stanzone unico e di grandi dimensioni che ospita il maggior numero di bacinelle e al secondo piano l'incannatoio. Locali quadrangolari e rettilinei, isolati su tutti i lati e dotati di un'ampia serie di finestre. Altro elemento caratterizzante di una edilizia ancora legata alle realtà rurali, è la grande corte centrale, un "retaggio architettonico" del passato e della azienda agricola, così come l'impiego di materiali edilizi locali, come la molera delle vicine cave. Nella foto a sinistra, una veduta aerea dei ruderi rimasti.
L'opificio delle Gere si può suddividere in tre corpi fabbrica con differenti porzioni: l'edificio all'ingresso, situato al termine dell'odierno viale alberato, risale al 1819 e ospitava uffici, appartamenti e i locali dei guardiani, che sorvegliavano le lavoranti; l'attorcitoio vero e proprio, sede della produzione, si sviluppava su addirittura cinque piani, parallelamente al corso del fiume e vi si rilevano tutt'ora i fori per il passaggio degli alberi di trasmissione, gli spazi del montacarichi e l'arco per la campana utilizzata per richiamare le maestranze; sul lato opposto era presente un magazzino, caratterizzato dalle tipiche aperture a mattoni alternati. L'edificio, in gran parte spoglio e privo di decorazioni, in particolare nella parte produttiva, ricalcava le esigenze dell'epoca di massimizzare il rapporto forma/funzione e la produzione. Solo l'edificio all'ingresso mostra elementi decorativi e una certa ricercatezza formale.

Anche il cotonificio Schoch, più o meno coevo dello stabilimento Maggi, aveva almeno nella sua struttura più antica un'analogo sviluppo verticale, con un edificio fronte strada adibito a residenza, con elementi di ricercatezza e dignità formale, e un corpo fabbrica posteriore, sviluppato su diversi piani, molto più anonimo. Nelle diverse fasi di ristrutturazione, in particolare verso la fine del XIX secolo, l'edilizia segue invece le più moderne tecniche di costruzione industriale, con la ripetizione di diversi moduli orizzontali a shed, così come li possiamo trovare ben rappresentati nella SIOME, una tipologia costruttiva che ormai si era affermata nel resto dell'Europa.

La cartiera Molina, nata verso la fine dell'Ottocento, mantiene uno sviluppo misto, con fasi per lo più verticali e strutture più moderne orizzontali a shed.

Elemento comune alle fabbriche più moderne, che avevano affiancato alla forza motrice del fiume quella del vapore, è la presenza della ciminiera, che ritroviamo nel cotonificio Schoch/Introini e nella cartiera, ma risulta assente nell'attorcitoio Maggi, dove infatti non è riportato l'uso delle macchine a vapore.
IL 1900 E LO SVILUPPO INDUSTRIALE
La crisi globale nel settore della seta e del cotone, legata soprattutto all'aumento del costo delle materie prime e all'introduzione delle fibre sintetiche, non lascia esenti anche le realtà malnatesi che, come abbiamo visto, tra alterne fortune riescono ad arrivare all'inizio del 900 solo con l'"incannatoio delle Gere", guidato dal milanese Mayer, e con il cotonificio dei fratelli Introini, che vedono ad ogni modo concludersi le proprie avventure nel primo decennio del secolo. Ma la storia produttiva della nostra valle non si ferma qui, prosegue anzi con un nuovo slancio industriale verso attività molto differenti, ma che ancora si legano alla presenza del fiume. Nemmeno l'attività legata alla lavorazione dei tessuti si interrompe, vedendo naturale prosecuzione nella Tessitura Braghenti, nata come Tessitura Frontini & C. alla fine dell'Ottocento, che non avendo più necessità della forza motrice delle acque del fiume, ma potendo sfruttare le nuove macchine a vapore, si "trasferisce" nel centro del paese, nell'odierna Piazza delle Tessitrici.
LA CARTIERA MOLINA
Il Mulino delle Sette Mole, situato lungo la strada verso Varese, è l'unico di cui non abbiamo conosciuto una trasformazione durante i primi decenni dell'Ottocento, seppur come anticipato vi risulta attiva una cartiera, probabilmente di piccole dimensioni. Solo nei primi anni Settanta infatti (1872), i fratelli Luigi e Angelo Molina, imprenditori già attivi in Varese nel settore della carta, ne rilevano la proprietà e lo trasformano radicalmente, sostituendo tutti gli edifici allora presenti con nuove strutture più idonee all'uso industriale, fondando la Cartiera Molina che rimarrà attiva fino alla fine del primo ventennio del Novecento. Già nel 1881 il complesso degli edifici risulta praticamente identico all'attuale (foto accanto) e coniuga nell'architettura le necessità funzionali dell'attività industriale a quelle di decoro e dignità formale. Alcune delle strutture della cartiera vengono adibite ad abitazione delle maestranze operaie, uno dei primi e rari esempi per le industrie della valle. La cartiera malnatese diventa famosa per la produzione della "Carta Varese", una raffinata carta decorativa con stampe fiorate a giglio, la cui origine è da ricondursi alla seconda metà del 1600 nella famosa Stamperia Remondini di Bassano del Grappa, diventata nel tempo un vero e proprio "impero" del settore. Giunto anche per questa realtà un periodo di crisi, le matrici lignee relative alla carta decorativa giunsero a Varese e presso la Cartiera Molina inizia la produzione della famosa Carta.

L'attività della cartiera si interrompe nel 1918 con il passaggio dei fabbricati alle vicine Officine Meccaniche Conti che vengono infine sostituite nel 1930 da un impianto di tintoria, Tessiltinta. Ora tutto il nucleo giace in abbandono.
LE OFFICINE MECCANICHE CONTI E LA SIOME
Abbiamo già visto la prima evoluzione del nucleo dell'antico Mulino dai Ratti, adiacente all'odierna rotonda della Folla, che nel corso dell'Ottocento ha visto svilupparsi due fiorenti attività di lavorazione del cotone. L'ultimo passo per queste strutture, quello che potremmo definire il canto del cigno visto l'attuale  stato di abbandono in cui giacciono da anni senza troppe prospettive di rilancio, è la trasformazione ultima in officine meccaniche.

Nel 1901 troviamo le Officine Galli, la cui presenza è attestata sin dal 1855 quando una piccola officina meccanica fu creata da Elia Galli. Nel 1929 la proprietà passa alle Officine Meccaniche Conti Luigi & Co. Con quest'ultima proprietà tutto il polo industriale conosce un grande ampliamento, con la costruzione di nuovi edifici, la regimazione del fiume Olona per trarne maggiore energia e il naturale collegamento alla ferrovia della Valmorea che, come abbiamo già detto, dà ulteriore impulso al mercato e allo sviluppo industriale dell'area.

Nella foto a destra, l'area della Folla di Malnate nel 1940. Ai piedi del monte Chignolo, che si erge a monte dei fabbricati, il grande polo industriale delle Officine Meccaniche Conti.

È solo negli anni Settanta che subentra la famiglia Malnati, proprietaria della SIOME, nome con cui gli stabilimenti sono noti tutt'ora. Quest’azienda, già attiva in via 1 Maggio a Malnate con un primo stabilimento, produce macchinari di grosse dimensioni per la lavorazione del cemento e dei refrattari. Come per la vecchia cartiera, anche gli edifici della SIOME giacciono in stato di abbandono.
MALNATE E IL PARTICOLARE ORIENTAMENTO DELLE CHIESE
A ulteriore conferma di quanto la vita lavorativa della comunità malnatese sia concentrata nella valle dell'Olona sin da diversi secoli addietro, è il particolare orientamento che hanno le due Chiese, di San Martino e San Matteo, nelle foto dell'epoca che ritroviamo anche in questa pagina e qui accanto. Entrambe infatti, San Matteo ancora oggi, mentre San Martino ha perso nel tempo e nelle ristrutturazioni dei periodi più recenti questa caratteristica, sono affacciate verso il fondovalle, su versanti che scendono quasi a strapiombo sul fiume Olona, a testimonianza di quanto questo piccolo angolo di territorio fosse cruciale per la comunità dell'epoca.

BIBLIOGRAFIA

"Malnate Notizie Storico-Illustrative" - Sac. Vittorio Branca - 1932

"Malnate e la Siome" - Carlo Alberto Lotti - Editore Luigi Benzoni 1970

"La Fabbrica Ritrovata" - Università Popolare di Varese 1989

"La Valle dei Mulini" - Silvia Pesetti - La Cava VIII - Macchione Editore, 2001

"Lo Sviluppo Industriale alla Folla di Malnate dal 1820 al Primo Novecento" - Massimo Arpini - La Cava XI - Macchione Editore, 2004

La Carta Varese (o carta per cassetti) - Cartoleria Villa Varese

COME RAGGIUNGERLO

A piedi
Percorrendo il Sentiero di Fondovalle